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Tutto sul linguaggio inclusivo

Tutto sul linguaggio inclusivo

19 dicembre 2022

Di cosa parliamo quando parliamo di linguaggio inclusivo.

Negli ultimi anni, sui social e sul web, si è scatenato un vero e proprio dibattito in merito all’inclusività del linguaggio, vista come necessaria evoluzione per una società che rispetti tutti gli individui che ne fanno parte. Ma che cos’è il linguaggio inclusivo? Cosa possiamo definire veramente inclusivo e cosa no?

Prima di avventurarci in questo viaggio, sono necessarie alcune premesse:

  1. La lingua è un insieme di regole e significati in evoluzione costante
  2. I nomi comuni sono al maschile o al femminile per una mera convenzione linguistica
  3. Identità di genere, sesso biologico e identità sessuale sono tre concetti distinti e non sovrapponibili.

Come funziona la lingua italiana

In italiano, come anche altre lingue romanze come il francese, lo spagnolo o il catalano, il genere è marcato in modo binario — maschile o femminile — nei nomi, negli aggettivi e nei pronomi. Ad ogni nome viene assegnato un genere grammaticale seguendo una convenzione linguistica e questo può essere solo maschile o femminile.  Quando però si parla di esseri animati però, come persone o animali, il discorso cambia: in questi casi, di solito, il genere grammaticale corrisponde al cosiddetto genere naturale (o genere logico).

Per semplificare:

L’italiano distingue due generi grammaticali: il maschile e il femminile.

Nel caso di oggetti non animati, il genere grammaticale segue una convenzione esclusivamente linguistica:

  • tavolo, libro, cappotto (maschile);
  • sedia, lampada, maglia (femminile).

 Nel caso di esseri animati, il genere grammaticale corrisponde al sesso dell’uomo o dell’animale indicato:

  • maestro (maschile) - maestra (femminile);
  • gatto (maschile) - gatta (femminile). 

Perché, quando parliamo di linguaggio inclusivo, parliamo anche di tematiche di genere

È presto detto: in italiano non esiste il neutro. Ad oggi, non abbiamo a disposizione nessuno stratagemma grammaticale universalmente accettato che ci permetta di evitare la demarcazione del genere. Esisteva in latino, da cui deriva la lingua che parliamo oggi, ma si è perso con l’evoluzione nell’italiano attuale.

Quand’è che servirebbe un genere neutro per descrivere chi abbiamo davanti?

Per esempio quando ci troviamo con un gruppo misto di persone (maschi e femmine) e vogliamo trovare una formula che non faccia sentire escluso nessun individuo.

Ecco perché chi si occupa di linguistica sta cercando una soluzione per rendere il linguaggio più inclusivo.

La soluzione in uso fino ad oggi: il maschile sovraesteso

Quando parliamo di una persona il cui genere ci è sconosciuto o di gruppi in cui sono presenti persone di diversi generi, la grammatica italiana ci chiede di usare il maschile sovraesteso.

Lo usiamo inconsapevolmente tutti i giorni quando salutiamo dicendo “Buongiorno a tutti”, senza fare una distinzione di genere: di fatto quel maschile svolge la funzione di un neutro.

Il maschile sovraesteso però non è abbastanza inclusivo e mancando un neutro ufficiale, dobbiamo necessariamente usare degli stratagemmi grammaticali che ci permettono di evitare la demarcazione del genere, cercando di includere nel nostro modo di parlare tutte le identità, senza stereotipi.

Spesso la perifrasi è più che sufficiente: basta scegliere parole che non hanno bisogno di essere declinate al femminile o al maschile e il gioco è fatto.

Qualche esempio:

  • Maschile sovraesteso: Cari tutti, siamo qui riuniti
  • La doppia forma: Care tutte e cari tutti, siamo qui riunite e riuniti
  • La circonlocuzione: Care persone qui riunite 

Le dissimmetrie grammaticali e come evitarle

Come afferma Annamaria AnelliÈ per abitudine che noi usiamo certe parole, perché schematizzare e proseguire per i sentieri noti ci aiuta a muoverci con disinvoltura nella vita di tutti i giorni. Il problema è che non ci rendiamo conto che le parole influiscono sul modo di vedere e di pensare la nostra realtà e le persone che la abitano. Oppure di non vederle né pensarle. La prima a usare la locuzione di dissimmetrie grammaticali è stata Alma Sabatini nel 1987, nel testo Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua.

Lo scopo è di suggerire alternative compatibili con il sistema della lingua per evitare alcune forme sessiste della lingua italiana, almeno quelle più suscettibili di cambiamento.

Come evitare una dissimmetria grammaticale:

  • Uomo -> Persona o Essere umano
  • Il Presidente, l’Avvocato -> La Presidente, l’Avvocata
  • Gli studenti -> gli studenti e le studentesse

Solo per fare qualche esempio.

Lo schwa è davvero inclusivo?

Lo schwa è una vocale intermedia, dal suono tra la "a" e la "e", trascritta con il simbolo ə. Solo di recente è stata introdotta nella lingua italiana scritta, ed è diventato popolare perché, come scrive Luca Boschetto, uno dei primi attivisti a proprne l'utilizzo, «graficamente assomiglia ad una forma intermedia tra una “a” e una “o”», cioè le due vocali che solitamente identifcano il femminile e il maschile.

Ma questo simbolo è davvero inclusivo? È necessario porsi questa domanda per capire se stiamo andando nella giusta direzione.

La verità è che, come spesso accade, includendo da una parte rischiamo di escludere dall’altra.
Scegliere di usare il carattere ə (o l’asterisco come nella formula “Ciao a tutt*), rende difficile la lettura per chi soffre di DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) come per esempio la dislessia.
Pensiamo per esempio alle persone che devono ricorrere a un sintetizzatore vocale per riprodurre il contenuto di un testo: come verrebbe letto quel simbolo?

Insomma, anche questa soluzione pare essere per molti ma non per tutti e la strada verso una risposta definitiva è ancora lontana.

Qualche esempio per rendere inclusivo il linguaggio

Come riscrivere i nostri testi in modo che siano comprensibili e inclusivi? Anche in questo caso ti lascio un bell’esempio tratto dal manuale di Annamaria Anelli “Parole Rispettose”, che parla nella fattispecie di linguaggio della pubblica amministrazione.

Ecco la prima frase, non inclusiva:

“Per richiedere le agevolazioni economiche previste, il cittadino deve essere in possesso dell’attestazione ISEE”.

Ed ecco le possibili alternative:

  1. “Per richiedere le agevolazioni economiche, devi essere in possesso dell’attestazione ISEE”
  2. “Per richiedere le agevolazioni economiche, deve essere in possesso dell’attestazione ISEE”
  3. “L’unico modo per richiedere le agevolazioni economiche è presentare l’attestazione ISEE”
  4. “Solo l’attestazione ISEE permette di richiedere le agevolazioni economiche”
  5. “Chiunque può chiedere le agevolazioni economiche, basta avere l’attestazione ISEE”
  6. “Per richiedere le agevolazioni economiche, si deve avere l’attestazione ISEE
  7. “Per richiedere le agevolazioni economiche deve essere presentata l’attestazione ISEE

Molto meglio, vero?

Ricapitolando

Il linguaggio inclusivo è libero da parole, frasi o toni che riflettono opinioni con pregiudizi, stereotipate o discriminatorie verso determinati gruppi di persone.

Questo significa che le parole di un testo inclusivo:

  • Non rafforzano stereotipi di genere
  • Non sono razziste
  • Non discriminano le persone in base all’età
  • Non discriminano le persone con disabilità

La lingua evolve, sta a noi fare in modo che cambi sempre in meglio!

 

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