Linguaggio inclusivo. Tra shwa, maschile sovraesteso e parità di genere.
Tutto quello che c’è da sapere sul linguaggio inclusivo e sul dibattito che infiamma internet
Hai mai fatto caso che nella tua classe, composta da ragazzi e da ragazze, tutti si rivolgono a voi usando il maschile? Hai mai notato che spesso le donne in posizioni di potere o di dirigenza vengono declinati, anche qui, al maschile (pensa per esempio ai termini “direttrice d’orchestra”, “avvocata” o “ingegnera”)?
La lingua italiana, per quanto bellissima, a volte è un po’ “testarda”.
Ecco dove entra in gioco il linguaggio inclusivo, ovvero un modo di esprimersi che cerca di essere più equo e rispettoso di tutte le identità, evitando discriminazioni di genere e stereotipi.
L’evoluzione della lingua
Il linguaggio non è una statua di marmo, immobile e intoccabile, anzi. La lingua cambia costantemente e assomiglia di più a un camaleonte, che si adatta ed evolve in base all’ambiente in cui si trova. Per questo l’italiano nei secoli è cambiato così tanto. Prova a pensarci: non parliamo più come Dante Alighieri (per fortuna, perché “Nel mezzo del cammin di nostra vita” suonerebbe un po’ troppo drammatico per dire che sei in ritardo a scuola).
Nel tempo, la nostra lingua ha perso pezzi (come il genere neutro del latino) e ne ha guadagnati altri (per esempio un’infinità di parole inglesi che ormai usiamo senza nemmeno accorgercene: spoiler, cringe, outfit… praticamente sono diventati parte integrante delle nostre conversazioni e dei nostri dizionari). Il cambiamento più interessante degli ultimi anni è quello che punta all’inclusività linguistica: un modo di parlare e scrivere che cerca di essere più rispettoso di tutte le identità e meno legato agli stereotipi.
Identità non binarie e genere grammaticale
La lingua italiana è un sistema rigido basato su due soli generi grammaticali: maschile e femminile. Nella realtà, le identità di genere non sono così semplici da incasellare.
Le identità non binarie comprendono tutte quelle persone che non si identificano esclusivamente come maschio o femmina. E qui nasce il problema: come parliamo e scriviamo di loro in una lingua che sembra non prevederle?
Negli ultimi anni sono nate diverse proposte per rendere l’italiano più inclusivo. Una delle più famose è l’uso dello schwa (ə), una vocale neutra che dovrebbe sostituire il maschile sovraesteso (es. tutti → tuttə). Un’idea interessante, ma non priva di ostacoli: come lo pronunciamo? Come lo leggono i sintetizzatori vocali per chi ha disabilità visive? Insomma, cambiare il linguaggio non è una passeggiata.
Il dibattito in Italia: opinioni diverse
In Italia, il dibattito si accende: da un lato ci sono i puristi della lingua, che vogliono mantenere l’italiano così com’è, dall’altro chi spinge per aggiornarlo e renderlo più inclusivo. E nel mezzo? Un dibattito fatto di conferenze, articoli, post infuocati sui social e qualche meme di troppo.
L’Accademia della Crusca, che possiamo immaginare come il "grande saggio" della lingua italiana, ha espresso alcune perplessità sull’uso dello schwa (ə). Il problema? Secondo i linguisti più conservatori, l’italiano è costruito su un sistema binario e modificarlo potrebbe creare confusione, sia nella scrittura che nella pronuncia. Ma chi sostiene l’inclusività linguistica risponde: evolversi non significa perdere, ma migliorare.
Negli ultimi due anni non ci siamo limitati a chiacchierare, sono state introdotte linee guida ufficiali e normative per promuovere una comunicazione più rispettosa di tutte le identità:
- giugno 2024: il Decreto Legislativo n. 64 ridefinisce i termini legati alla disabilità, spingendo per un linguaggio più rispettoso e aggiornato.
- la Certificazione Parità di Genere (UNI/PdR 125:2022) che introduce le linee guida per rendere la comunicazione aziendale più inclusiva.
- la Fondazione Diversity pubblica strumenti pratici per evitare espressioni discriminatorie e migliorare la rappresentazione delle diversità
- l’Università Bocconi e l’Università di Pisa lanciano le loro linee guida per l’uso di un linguaggio più inclusivo all’interno delle istituzioni accademiche.
A cosa fare attenzione se vogliamo parlare in modo inclusivo, senza far impazzire l’italiano
Vuoi rendere il tuo linguaggio più inclusivo? Niente paura, ci sono strategie semplici ed efficaci per parlare e scrivere in modo più rispettoso e rappresentativo.
- Usa le perifrasi, i termini collettivi o astratti, basta veramente poco per non utilizzare il maschile sovraesteso.
“Gli studenti devono consegnare il compito → “La classe deve consegnare il compito” - Oppure potresti utilizzare la doppia desinenza, come
“I cittadini devono presentare il modulo” → “Le cittadine e i cittadini devono presentare il modulo” - Costruzioni impersonali e forme passive, oppure l’utilizzo di termini già neutri, ecco alcuni esempi:
“Ogni candidato deve compilare il modulo” → “Per candidarsi, è necessario compilare il modulo”
“Il professore spiegherà il concetto agli alunni” → “L’insegnante spiegherà il concetto alla classe” - Fai attenzione ai titoli professionali e istituzionali (ingegnera, medica, avvocata, ministra, notaia, sono tutti declinazioni al femminile corrette).
Schwa (ə), asterischi (*) e chiocciole (@) possono essere utili, ma non sono facili da leggere per tutti, soprattutto per chi ha DSA o utilizza lettori vocali. Meglio usarli con moderazione.
Insomma, l’inclusività linguistica non è un obbligo, ma un’opportunità! Rendere la nostra comunicazione più attenta e rappresentativa è un passo in avanti verso una società più equa.
Qual è la tua opinione?